Articolo aggiornato al: 05/06/18
L’art. 13 del Codice Deontologico degli Psicologi italiani recita:

Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del soggetto. Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi.

Qual è la differenza tra referto e denuncia?
Il referto fa riferimento all’art. 334 c.p.p. (Codice di Procedura Penale):

1. Chi ha l’obbligo del referto [c.p. 365] deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al pubblico ministero o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui ha prestato la propria opera o assistenza ovvero, in loro mancanza, all’ufficiale di polizia giudiziaria più vicino.
2. Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze dell’intervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare.
3. Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto, con facoltà di redigere e sottoscrivere un unico atto.

Mentre l’art. 365 c.p. (Codice Penale) recita:

Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’Autorità indicata nell’articolo 361, è punito con la multa fino a cinquecentosedici euro.
Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale [384].

In pratica, il referto è l’atto compilato da chi esercita una professione sanitaria in cui, appunto, si “referta” un (una ipotesi) reato procedibile d’ufficio nei confronti dell’assistito. Il referto va compilato e inoltrato nelle forme indicate dall’art. 334 c.p.p. Qui un fac-simile del referto psicologico.
Esempio: la paziente rivela allo psicologo libero professionista/psicologo pubblico ufficiale di essere vittima di violenza sessuale.
La denuncia, invece, fa riferimento all’art. 332 c.p.p. che “contiene l’esposizione degli elementi essenziali del fatto e indica il giorno dell’acquisizione della notizia nonché le fonti di prova già note”. La denuncia può pervenire all’Autorità Giudiziaria da parte di chiunque: pubblici ufficiali (art. 331 c.p.p.), incaricati di pubblico servizio (art. 331 c.p.p.), privati cittadini.
In pratica, nel nostro caso, la denuncia fa riferimento ad una notizia di reato che viene sporta da un pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio (es. Psicologo di un ospedale pubblico o da un CTU/Perito, il CTP non è pubblico ufficiale).
Esempio: un paziente rivela allo psicologo dipendente di un ospedale che il suo vicino scarica da internet materiale pedopornografico. In questo caso lo psicologo dipendente dell’ospedale (pubblico ufficiale) ha l’obbligo di denunciare quanto riferito dal paziente.
Se si fosse trattato di uno psicologo libero professionista (non pubblico ufficiale/pubblico servizio)? In questo caso non vi è obbligo di denuncia (non di referto) però lo psicologo “valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi” (art. 13 C.D.).
In sintesi:
– il referto, nell’ambito della professione sanitaria, si redige quando riguarda la persona assistita per una qualsiasi notizia di reato procedibile d’ufficio;
– la denuncia per la una qualsiasi notizia di reato procedibile d’ufficio.
Entrambi vanno trasmessi solo ed esclusivamente all’Autorità Giudiziaria (no Servizi Sociali).
A complicare il quadro è il secondo comma dell’art. 365 del Codice Penale:

Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale [384].

In pratica:
nel caso di psicologo libero professionista (non pubblico ufficiale/pubblico servizio) che stia esercitando prestazione sanitaria: se un paziente gli rivela di aver violentato sessualmente una bambina (o di essere intenzionato a farlo), lo psicologo non è tenuto a redigere referto però lo psicologo “valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi” (art. 13 C.D.);
nel caso di psicologo pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che stia esercitando prestazione sanitaria: se un paziente gli rivela di aver violentato sessualmente un bambino (o di essere intenzionato a farlo), è tenuto sempre a redigere il referto però “valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi” (art. 13 C.D.);
psicologo Perito/CTU (pubblico ufficiale, ma non esercita prestazione sanitaria): se un periziando gli rivela di aver violentato sessualmente (o di essere intenzionato a farlo) un bambino è tenuto a denunciare (non refertare). In questo caso sarebbe sufficiente informare per vie formali il Giudice che gli ha affidato l’incarico il quale procederà a trasmettere gli atti in Procura.
Secondo la Cassazione (Penale Sent. Sez. 6 Num. 51780 Anno 2013, Pres. Agrò, Rel. Ippolito):

L’art. 361 c.p. punisce il pubblico ufficiale che omette o ritarda di denunciare “un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni”.
L’art. 365 c.p. punisce “chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’Autorità …”.
Il riferimento contenuto nell’art. 361 c.p. alla “notizia di reato” avuta dal pubblico ufficiale nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, rimanda alla nozione tecnica di notita criminis, che, pur in assenza di formale definizione legislativa, va individuata, secondo dottrina e giurisprudenza, in una situazione che delinei le linee essenziali di un fatto (espressione utilizzata dagli artt. 332 e 347 del codice di procedura penale) criminoso, sulla base di elementi che appaiono sufficientemente affidabili e capaci di indurre una persona ragionevole a concludere che vi sono apprezzabili probabilità che un reato sia stato commesso.
Nell’art. 365, invece, l’obbligo di referto è correlato non già alla conoscenza della “notizia di reato”, bensì a casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, espressione che connota un ambito di rappresentazione cognitiva minore, senza il grado di relativa sicurezza necessario per la configurabilità dell’obbligo incombente al pubblico ufficiale di presentare denuncia all’autorità giudiziaria.
La lettera della legge (“possono presentare…”) indica che l’obbligo si configura per la semplice possibilità che il caso presenti i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio. E’ stato precisato in dottrina che, per far sorgere l’obbligo di referto basta che il caso venuto a conoscenza del sanitario abbia nella sua obiettività tali caratteri da rendere meramente possibile una fisionomia delittuosa.
Il maggior rigore del legislatore a carico dell’esercente una professione sanitaria è giustificato dal fatto che tale denuncia tecnica, come è stato autorevolmente puntualizzato in dottrina, assolve ad una funzione ancor più importante di quella della generica denuncia del pubblico ufficiale (art. 361 c.p.), perché fornisce, di regola per fatti riguardanti la persona, elementi tecnici di giudizio a pochissima distanza dalla commissione del reato, assumendo così un valore insostituibile ai fini dell’indagine e dell’eventuale successiva redazione di una perizia medico-legale.
E’ questa la ragione per cui – come emerge dalla ricostruzione storica che la dottrina ha compiuto – l’obbligo di referto per i medici affonda le sue radici nei secoli, ben prima che fosse previsto l’obbligo di denuncia a carico degli esercenti una funzione pubblica.

Un’ultima precisazione e poi, prometto, la smetto: ;)
lo psicologo pubblico ufficiale oppure incaricato di pubblico servizio o libero professionista privato ha l’obbligo di refertare/denunciare, nell’ambito dell’esercizio della professione sanitaria, solo per i reati procedibili d’ufficio.
Quali sono, infine, i reati procedibili d’ufficio? A titolo esemplificativo, ma non esaustivo:
maltrattamento (572 c.p.), omicidio (575 c.p.), violenza sessuale – circostanze aggravanti (609-ter c.p.), atti persecutori – stalking (612-bis c.p.): nel caso di stalking la procedibilità d’ufficio è solo in caso di minori o persona con disabilità. Qui la lista più completa.
 

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