A cura di Catello Parmentola

Si è parlato spesso impropriamente di tagli ideologici con riferimento alla recente revisione del Codice Deontologico degli Psicologi.
Ma un taglio ideologico poteva tutt’al più venire riferito alla scrittura generale del Codice vigente.
Altrettanto impropriamente poiché il Codice vigente non aveva fatto altro che riferirsi alle direzioni che aveva preso la comunità professionale e, quindi, al taglio ideologico della stessa storia della psicologia italiana.
Gli interventi revisionali non riflettevano tagli ideologici e malintenzioni di assoggettamento ad altre figure professionali o ad altre Autorità.
Hanno solo riflettuto coerenti pensieri revisionali che si è ritenuto dovessero informare i cambiamenti da apportare.

  1. Nella considerazione che un precetto deontologico dovesse sempre applicarsi ai singoli casi e riguardare il singolo destinatario prestazione, singolo committente, singolo psicologo, si è privilegiata sempre la tutela del singolo soggetto concretamente ‘esposto’ sulla frontiera di quel singolo caso.
    Rimandando ad altre Sedi la tutela assimilabilmente ‘corporativa’ di una categoria professionale e opzioni muscolari e militanti contro altri Soggetti, giuridici, istituzionali o professionali che siano.
    Perché è questo il pensiero che deve guidare un deontologo di fronte alla formulazione o riformulazione di un precetto.
  2. La deontologia degli psicologi deve porre sempre prima la parte più debole e deve sempre muoversi nel senso del ribilanciamento di ogni asimmetria o disequilibrio che la ‘maggiore debolezza’ va a descrivere.
    Quindi, prima la tutela del destinatario della prestazione, a maggior ragione quando facente parte di categorie di soggetti c.d. ‘fragili’: soggetti minorenni o incapaci. Dopo, quella dei committenti, dei Colleghi, di terzi e Società.
  3. E, con riferimento ai Colleghi, sempre prima la tutela del singolo Collega sulla frontiera del rischio e dopo la tutela della comunità professionale su frontiere solo ipotetiche o tutte ‘ideologiche’.
    Queste sono le coordinate seguite dai revisori in fatto di deontologia. Si può dissentire ma, se non si assume questa lente revisionale, è impossibile ‘capire’ e ‘comprendere’ i cambiamenti intervenuti nell’articolato.

Di seguito, consideriamo in che modo i presupposti teorici hanno coerentemente informato la ratio revisionale, prendendo ad esempio solo alcuni articoli del Codice Deontologico.

L’articolo 8 C.D., relativo alle segnalazioni di esercizi abusivi, assume ‘presunti’. Il che aumenta l’intangibilità di questo articolo. Ma è ‘vezzoso’ soffermarsi solo su questo quando sull’altro piatto della bilancia c’è il rischio di esposti temerari (ogni esercizio abusivo è presunto fino a sentenza definitiva) che ogni singolo Collega potrebbe pagare caro in diverse Sedi.

L’articolo 12 C.D. anticipa in una misura deontologica un’evenienza prefigurabile (all’art. 200 C.P.P.) che potrebbe esporre gravemente un singolo Collega a livello giudiziario.
Questo rischio è più tangibile di quello generale e di principio sulle ipotetiche evocate ‘trasfigurazioni’ nell’ambito della Testimonianza.
Anche perché si tratta dell’evenienza estrema evocata nell’ultimo rigo dell’ultimo comma di un articolo che si inserisce nel corpo generale dei commi precedenti e degli articoli che precedono e seguono: con formulazioni che confermano tutte appieno, nella loro impostazione, la solida tenuta –nelle misure deontologiche- del Segreto professionale.

L’articolo 22 C.D. evoca anche le Linee Guida, il meno rigido dei Criteri evocabili quando ‘si interviene significativamente nella vita delle persone’ (art. 3 del C. D.).
Quando deve venire prima il destinatario della prestazione e il dovere di garantirgli sempre la migliore prestazione possibile.
Quando l’ambito è clinico e quindi già ‘criteriato’ da moltissimi Modelli in tal senso.
E lo psicologo può comunque scegliere le Linee a cui riferirsi.
E c’è anche il rischio di un richiamo alla Legge 24/17.
Non tutelare adeguatamente né il singolo destinatario della prestazione né il singolo psicologo evocando un’astratta e generale autonomia categoriale che non deve muoversi in nessun altro sistema paradigmatico è un vezzo tutto ideologico e fuori contesto.
Dato che di autonomia professionale tratta l’articolo 6 C.D. e l’ambito dell’articolo 22 C.D. sono le ‘condotte non lesive’ che hanno come vertice ‘leso’ –in tale ambito- il destinatario della prestazione e non la comunità professionale.

L’articolo 31 C.D., quando si è cercato invano di costruire il Consenso alla prestazione per un Minore che lo psicologo ritiene ne abbia necessità, prima prevedeva solo di ‘informare’ (l’Autorità Tutoria).
E poi? Dopo avere solo informato, lo psicologo proseguiva temerariamente ‘da solo’ contro il dissenso genitoriale?
O, prudentemente lasciava senza aiuto il Minore che necessitava?
Domande appese e senza una terza possibilità.
L’intervento revisionale, invece, lascia tutta l’autorità valutativa allo psicologo ma protegge la sua prestazione in un percorso istituzionale-giuridico.
Costo sicuramente minore rispetto a lasciare senza aiuto la parte più debole.
O esporre a rischi gravi il singolo psicologo.

Sono solo degli esempi (si potrebbe continuare con la ‘spiegazione’ di tutti i 17 interventi revisionali) che illustrano bene in che modo e attraverso quali processi il pensiero in premessa si è fatto intervento revisionale. Come la revisione abbia risposto coerentemente alla premessa teorica che doveva orientarla.
Ovviamente è stato spiegato e dimostrato in tante occasioni che i cambiamenti revisionali non contengono errori tecnici, né discrepanze normative né disequilibri formali.
Il senso di questa riflessione non è di rispondere ad obiezioni a questo livello bensì di ‘aggiungere’ dei punti di finalismo ‘ideale’, di pensiero coerente e di ratio costruttiva alla spiegazione e all’illustrazione tecnica della revisione.
Un livello di pensiero spesso trascurato nella prosaicità del confronto o nella capziosità di un dettaglio.

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