Articolo aggiornato al 3 dicembre 2022.

Una delle domande più frequenti che gli psicologi fanno e si fanno:
se in una seduta, il mio paziente dovesse riferirmi “ho intenzione di suicidarmi”, che faccio? Come mi comporto?
In questo articolo vorrei superare tutti quei luoghi comuni pseudo-clinici (“se te lo dice, vuol dire che non lo farà” et similia), affrontando l’argomento da un punto di vista meramente deontologico.
Cosa dice il nostro amato e odiato Codice Deontologico?
In questo caso, ci interessano gli artt. 11 e 13:
Art. 11
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
Art. 13
Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del soggetto. Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi.
L’art. 11 è palesemente chiaro: lo psicologo è tenuto al segreto professionale, per cui non può rivelare a nessuno i contenuti delle sedute, anche nel caso dell’esempio in cui il paziente rivela l’intenzione di volersi suicidare.
Qualcuno potrebbe rispondere: ok, ma se poi si suicida? Non lo abbiamo tutelato.
E’ vero, anzi verissimo, ma se poi non lo fa? Abbiamo violato il segreto professionale.
L’argomento è complesso perché si opera su una linea molto sottile in cui da una parte c’è la tutela del segreto, dall’altra il rischio per l’incolumità del nostro assistito.
La differenza tra referto e denuncia è spiegato in questo articolo, ma nel nostro esempio, non si tratterebbe di obbligo, ma di prendere in considerazione la seconda parte dell’art. 13:

Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi.

Questo è l’aspetto più cruciale del nostro esempio: stabilire se si prospetta un grave pericolo per il paziente. Come si fa?

Lo psicologo deve saper decidere, anche in tempi brevi, cosa fare. Ogni caso è a sé e non esiste una regola standard. Sicuramente sarebbe opportuno chiedere supporto in supervisione o a qualche collega più esperto o al proprio Ordine di appartenenza.

Qualche suggerimento:
#1 – effettuare una approfondita analisi della domanda già alla prima seduta, soprattutto se si esercita in qualità di libero professionista, solo soletto, nel proprio studio privato: ciò potrebbe ridurre il rischio di intraprendere lavori terapeutici con pazienti a rischio, prendendo in considerazione l’ipotesi, già al primo incontro, di un consulto psichiatrico;
#2 – la violazione del segreto professionale per “giusta causa” (definiamola così) può avvenire solo se si prospettano gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto interessato. A chi contattare? Dipende dal caso specifico. Se ad esempio, un paziente telefona il proprio psicologo riferendogli l’intenzione di suicidarsi è possibile contattare il 118. Tuttavia, è meglio ribadirlo, bisogna valutare attentamente e sapientemente se violare il segreto professionale. 

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One Comment

  1. vania 2 Dicembre 2022 at 16:12 - Reply

    Ma in questo caso l’autorità competente chi sarebbe?

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