L’art. 365 c.p. impone ai professionisti sanitari, tra cui gli Psicologi, di redigere il referto nel caso in cui venissero a conoscenza, nell’ambito della prestazione sanitaria, di un’ipotesi di reato a procedibilità d’Ufficio.
Ne parlo abbondantemente in questo sito.
Secondo alcune scuole di pensiero, lo Psicologo è tenuto prima di tutto ad accertarsi che i fatti narrati dal paziente possano realmente costituire un’ipotesi di reato. Nello specifico, questa impostazione teorica spingerebbe lo Psicologo a non refertare subito le notizie apprese dal paziente, ma imporrebbe cautela e attesa. Lo Psicologo, così, potrebbe accertare con calma la veridicità dei fatti e poi, eventualmente, potrebbe fare referto.
In realtà, il referto deve essere fatto entro le 48 ore o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente (art. 334 c.p.p.).
Lo Psicologo non svolge attività di Polizia Giudiziaria e non può sostituirsi all’Autorità Giudiziaria nel decidere se l’ipotesi di reato sussiste o, addirittura, se è intervenuta la prescrizione.
E’ chiaro che è un argomento complesso ricco di sfumature e variabili, ma, in linea teorica, lo Psicologo è obbligato al referto senza indagare ulteriormente sui fatti che il paziente gli ha raccontato.

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