Mi ha contattato un signore che mi chiede di prendere in psicoterapia il figlio di 15 anni perché gay. Lui e la moglie sono molto preoccupati per questa condizione “innaturale” del figlio e vogliono a tutti i costi sperimentare una terapia di conversione. Entrambi sostengono che questo genere di terapia è molto diffusa negli USA con risultati efficaci.
Sono disposti a fornirmi il consenso informato e a prendere subito un appuntamento. Come mi comporto?

Le c.d. “terapie di conversione” o “terapie riparative” sono vietate dal nostro Codice Deontologico. Espressamente si fa riferimento agli artt. 3, 4, 5, 40.
Le terapie di conversione sono destituite di ogni fondamento scientifico non essendo l’omosessualità annoverata tra i disturbi psichiatrici del DSM-5. In ogni caso, al di là degli aspetti scientifici, lo Psicologo (professionista sanitaria) si adopera per il rispetto della libertà della persona secondo gli artt. 2 e 13 della Costituzione.
Il fatto che siano entrambi gli esercenti la responsabilità genitoriale (i genitori) a chiedere una psicoterapia per il figlio non significa che non si debba tener conto della volontà del figlio, sancita anche dall’art. 3 della legge 219/17 (consenso informato).
In pratica:

  • i genitori chiedono una terapia di conversione per il figlio minorenne: lo Psicologo è tenuto a chiarire ai genitori che tale pratica è illegittima, scorretta e non scientifica. Lo Psicologo è tenuto ad accettare l’incarico con riserva. Egli si rende disponibile ad incontrare il figlio in un colloquio per comprendere i suoi bisogni, la sua volontà, le sue aspettative e richieste. Se anche il figlio intende “convertirsi” è necessario che lo Psicologo chiarisca la sua posizione e ridefinisca le aspettative della persona minorenne: è possibile lavorare clinicamente su altri aspetti che non abbiano come obiettivo la “conversione”. In tal caso, lo Psicologo può intraprendere una prestazione sanitaria con il figlio solo in presenza di una chiaro (chiarissimo) consenso informato (art. 31 C.D.) che deve essere necessariamente acquisito in forma scritta da entrambi i genitori. Nel consenso informato devono essere ben esplicitati gli obiettivi della prestazione sanitaria specificando che non ha l’obiettivo di “convertire” l’orientamento sessuale del figlio. Se i genitori non sono disposti a sottoscriverlo, lo Psicologo non può procedere all’avvio della prestazione. Qualora lo Psicologo dovesse giudicare l’intervento sanitario necessario è possibile informare il Giudice Tutelare.
  • i genitori chiedono una terapia di conversione per il figlio minorenne, ma quest’ultimo non vuole “convertirsi”: situazione delicata perché siamo in presenza di un consenso dei genitori e di un dissenso del figlio. In prima istanza è necessario chiarire ai genitori che la terapia di conversione è destituita di ogni fondamento scientifico e che è vietata dal Codice Deontologico (e anche dal buon senso). Se il figlio che non intende convertirsi, ma è propenso ad intraprendere una prestazione sanitaria con lo Psicologo quest’ultimo, se dovesse giudicare necessario l’intervento sanitario, è tenuto ad informare i genitori. Se i genitori, informati e allertati dallo Psicologo, dovessero opporsi perché per loro l’unico intervento possibile è quello di conversione, lo Psicologo potrebbe rivolgersi al Giudice Tutelare per informarlo e per chiedere come procedere.

In entrambi i casi è necessario chiedere una consulenza al proprio Consiglio dell’Ordine di appartenenza.

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2 Comments

  1. Anonimo 4 Aprile 2019 at 17:25 - Reply

    Io sono italiano e ho fatto questo tipo di terapia volta al cambiamento di orientamento con tre specialisti americani (della California, del Texas e della Virginia) per telefono. Ogni volta mi hanno fatto firmare un modulo che spiegava come l’Apa sia contraria a tale terapia, tutto qui.Non ho avuto un cambiamento del 100% ma questa terapia mi ha aiutato parecchio e trovo ingiusto che in Italia non si possa fare. “Gay” come affermava saggiamente il dottor Joseph Nicolosi, PhD é un’ “identità socio-politica”. Una persona non é obbligata a definirsi in questo modo se prova attrazioni per lo stesso sesso, le quali possono mutare nel corso della vita, anche senza terapia. Per ovvie ragioni uso l’anonimato

  2. enrico 30 Agosto 2019 at 18:44 - Reply

    le ovvie ragioni sono il fatto che lo scrivere cose contro il buonsenso, la ragione e anche volte ad affermare il funzionamento di una terapia pericolosa e scientificamente priva di ogni fondamento ti causano vergogna perché in fondo in fondo sei a conoscenza anche tu stesso della pericolosità delle tue affermazioni?

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