In questo articolo provo ad illustrare le ipotesi applicative del terzo comma dell’articolo 31 del Codice Deontologico delle Psicologhe e degli Psicologi. LEGGI ANCHE: “ARTICOLO 31, LA NECESSITÀ DEL TRATTAMENTO SANITARIO”
Nello specifico:

Nei casi di assenza in tutto o in parte del consenso informato di cui al primo comma, ove la psicologa e lo psicologo ritengano invece che il trattamento sanitario sia necessario, la decisione è rimessa all’autorità giudiziaria.

Ciò significa (in una lettura globale degli articoli 24 e 31) che quando lo Psicologo si trova in assenza totale (entrambi i genitori) o in parte (di un solo genitore) del consenso informato, il trattamento sanitario non può iniziare o proseguire (e quindi va interrotto).

Esempi:
– in caso di richiesta di un solo genitore di un sostegno psicologico nei confronti del figlio all’oscuro dell’altro genitore
– in caso in cui entrambi i genitori (o un solo genitore) comunicano allo Psicologo che il sostegno psicologico (o la psicoterapia) deve essere interrotto perché non c’è più la volontà di continuare, per qualsiasi motivo.

Il terzo comma dell’Articolo 31 però ci dice anche un’altra cosa: in assenza totale o in parte del consenso informato, quando il trattamento sanitario sia ritenuto necessario, la decisione è rimessa all’Autorità Giudiziaria.

Le domande possono sorgere spontanee: da chi è ritenuto necessario, dai genitori, da un genitore o dallo Psicologo? E chi adisce l’Autorità Giudiziaria, i genitori, il genitore o lo Psicologo? E che si intende per Autorità Giudiziaria?

Prendiamo qualche esempio:
– un genitore vuole il trattamento sanitario nei confronti del figlio perché lo ritiene necessario, l’altro non vuole. Si rivolge all’Autorità Giudiziaria il genitore che vuole il trattamento sanitario, anche dietro suggerimento dello Psicologo sia se il trattamento deve ancora iniziare, sia se è già in corso e si è interrotto;
– entrambi i genitori, dopo qualche seduta di psicoterapia del figlio, comunicano allo Psicologo di voler interrompere il trattamento sanitario. Lo Psicologo, se ritiene che il trattamento sia necessario (prendiamo il caso di un disturbo alimentare grave), può adire l’Autorità Giudiziaria. Se lo fa, chiaramente, in deroga al segreto professionale.

Il trattamento sanitario ritenuto necessario non comporta una urgenza. L’urgenza ce l’hanno solo i medici che, in ogni caso, devono prestare sempre la massima attenzione quando operano in assenza totale o parziale di consenso informato. Si vedano le numerose sentenze di condanna di medici che hanno effettuato trasfusione sangue urgente a pazienti testimoni di Geova che avevano espresso un diniego.

Che si intende per Autorità Giudiziaria?

Giudice Tutelare
– ma anche Pubblico Ministero presso il Tribunale Ordinario

Quando si tratta di persone minorenni, qualsiasi Autorità Giudiziaria, se riceve una segnalazione di un professionista sanitario, è tenuta ad intervenire.

Qual era la prassi con il vecchio Articolo 31?

Prendiamo spunto dalla posizione del 2020 dell’Ordine degli Psicologi del Lazio che trovate qui, poiché la pagina è stata cancellata.

A parte che nel 2020-21 (dopo l’entrata in vigore della L. 219/17) l’Ordine Psicologi Lazio aveva un orientamento secondo cui una prima valutazione clinica sulla persona minorenne poteva essere fatta dallo Psicologo con il consenso informato di un solo genitore. Ma tant’è. La pagina è stata cancellata, quest’orientamento, per fortuna, pure.

Ma l’aspetto che qui interessa è l’interpretazione del vecchio Articolo 31 nei casi in cui veniva meno il consenso informato.
Il vecchio Articolo 31 “suggeriva” allo Psicologo di continuare la prestazione psicologica, se ritenuta necessaria, informando l’autorità tutoria (Giudice Tutelare).
L’ho scritto più volte: è una impostazione paternalistica dell’articolato che richiama la vecchia “potestà genitoriale”. Per fortuna il Codice è stato revisionato in cui viene richiamata la “responsabilità genitoriale” ponendo al centro del processo decisionale la persona minorenne.

L’Ordine Psicologi Lazio aveva anche predisposto un fac-simile di comunicazione da inviare al Giudice Tutelare:

Al Giudice Tutelare
c/o Tribunale Ordinario di …

Raccomandata a/r

Oggetto: comunicazione di inizio intervento psicologico

Io sottoscritta/o <…>, psicologa/o iscritto all’Albo professionale degli Psicologi del Lazio con il n. <…>, ai sensi dell’art. 31 del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, comunico quanto segue.

In data <…> mi è stato richiesto un intervento di <diagnosi, terapia, sostegno, altro…> da parte di , <madre, padre, altro esercente la responsabilità genitoriale> a vantaggio di di anni <…>.

Ad una prima sommaria valutazione la/il minore presenta i seguenti <comportamenti; sintomi; indicatori di disagio psicologico/psicosociale; altro: …>.

Non è possibile ottenere il consenso dell’altro esercente la responsabilità genitoriale, , in quanto <irreperibile; non consapevole della serietà/gravità dei problemi sopra indicati; sospettato di maltrattamenti/abusi presumibilmente causa dei problemi sopra indicati; altro…>.

Ravvisando, pertanto, le condizioni di necessità e urgenza richieste dal citato art. 31, procedo all’intervento psicologico con il consenso della/del sola/o richiedente, salva diversa disposizione di codesta Autorità.

Resto a disposizione per ogni ulteriore chiarimento.

Con osservanza,

< Firma autografa >

Una prassi suggerita molto rischiosa per una serie di motivi:

– lo Psicologo agiva in assenza di consenso informato contro ogni logica deontologica e contro la normativa vigente (Artt. 1 e 3 della L. 219/17).
– se il genitore non era consapevole della serietà/gravità (che si intende?) dei problemi del figlio, lo Psicologo si sostituiva al genitore intorpidito e procedeva con la prestazione psicologica: della serie “io decido per te, presumendo che tu sia un incapace”
– questa prassi, come detto, è impregnata di una visione paternalistica della Professione non più accettabile in cui si poteva operare contro la volontà di soggetti adulti e minorenni.

Infine, un’ultima criticità contenuta nel fac-simile: «salva diversa disposizione di codesta Autorità». Questa frase appare emblematica. Lo Psicologo informa il Giudice Tutelare sul prosieguo del trattamento sanitario sul figlio, salvo poi che il Giudice Tutelare emetta un provvedimento (magari dopo qualche settimana/mese) in cui imponga allo Psicologo di interrompere il trattamento con tutti i rischi del caso: per il giovane assistito perché quell’intervento magari non era necessario; per lo Psicologo perché magari ha operato senza una effettiva necessità.

Insomma, una prassi scongiurata con l’introduzione del nuovo Articolo 31 che sancisce, finalmente, ciò che ha un senso deontologico oltre che giuridico: in assenza totale o parziale del consenso informato, lo Psicologo non ha il potere (potestà) di decidere. Ogni decisione è rimessa all’Autorità Giudiziaria, unico Soggetto che ha il potere di decidere in caso di contrasto di interessi tra gli esercenti la responsabilità genitoriale.

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