Articolo aggiornato al 26 luglio 2020
Troppo spesso i CTU – Consulenti Tecnici di Ufficio – “prescrivono”, nelle conclusioni peritali, percorsi di psicoterapia e/o sostegno psicologico alla coppia genitoriale conflittuale nell’ambito di una separazione giudiziale.
Il Giudice, recependo le conclusioni del suo Consulente, “ordina”, “prescrive”, “impone” una psicoterapia e/o un sostegno genitoriale ad entrambi i genitori con l’obiettivo di far cambiare idea ad uno o all’altro genitore o ad entrambi in nome della tutela del loro figlio minore. In pratica, “andate in psicoterapia, così cambiate, litigate meno e vostro figlio starà meglio”.
Solo cinque domande:
#1 si può essere obbligati ad intraprendere una psicoterapia se non si è motivati e senza consenso informato?
#2 si può imporre una psicoterapia con il fine di far cambiare idea ad una persona, dietro minaccia (se non cambi idea, potresti perdere l’affidamento del figlio)?
#3 il soggetto maggiorenne è libero di autodeterminarsi e di scegliere liberamente se fare una psicoterapia e, in caso, di scegliersi il professionista, se pubblico o privato, l’approccio ecc.?
#4 lo psicoterapeuta può scegliere liberamente di non accettare la coppia genitoriale o di sospendere la psicoterapia dopo qualche incontro? Può il professionista farsi un’idea diversa da quella del Tribunale, ad esempio ritenendo i genitori “non trattabili”?
#5 e se non sono trattabili, è “responsabilità” dello Psicoterapeuta, dell’approccio psicoterapico o della coppia scarsamente motivata? Il Giudice (o i Servizi Sociali) lo vuole sapere.
Ma si può imporre un trattamento sanitario ad un soggetto adulto?
Decisamente no. E’ spiegato in questo documento, unico in Italia, redatto per l’Ordine Psicologi Calabria.
Successivamente, anche l’Ordine Psicologi Friuli Venezia Giulia e Ordine Psicologi Liguria hanno affermato tale diniego: qui e qui.
Lo spieghiamo in questo articolo su ilFamiliarista.it a cura di Camerini G. B., Pingitore M., Lopez G.: Si può prescrivere una psicoterapia alla coppia genitoriale?
Dal 2017 in Italia è in vigore una legge, la n. 219, sul Consenso Informato: l’art. 1 è da leggere (insieme all’art. 3).
Di seguito vengono riportati gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi che sostanzialmente impediscono l’obbligo di una psicoterapia/un sostegno psicologico nei confronti di soggetti adulti.
Ma iniziamo con la Costituzione, art. 32 co. 2:
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
Anche recentemente la Cassazione ha confermato tale diniego: 2015 e 2019.
Maggiori informazioni tramite questo tag.
Ecco gli articoli del Codice Deontologico:
Articolo 4
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto.In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.
Articolo 6
Lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, e, in assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine. Lo psicologo salvaguarda la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; è perciò responsabile della loro applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui competenze.
Articolo 11
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
Articolo 18
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui rivolgersi.
Articolo 24
Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi.
Articolo 39
Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.
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Credo che al di là di disquisizioni prettamente giuridiche circa la liceità dell’obbligatorietà della psicoterapia – e, più in generale, di qualunque terapia! – quello che bisognerebbe evidenziare è che, essendo la psicoterapia manifestazione di libertà fin nei suoi più remoti presupposti, non è utilizzabile coercitivamente in quanto, semplicemente, non funziona! Da questo punto di vista mi chiedo solo se esistano seri studi di esito da presentare al giudice…
Come darle torto.
Non esiste, almeno in Italia, alcun studio sull’efficacia dei trattamenti sanitari sulla coppia genitoriale.
Ma il problema è: come si misura l’efficacia di un trattamento in questo genere di casi? Gli ex non devono più litigare o devono litigare di meno? Un po’ meno del meno?
Ma l’efficacia, in realtà, si dovrebbe misurare sulla tutela del minore: anche in questo caso, come si misura l’efficacia del trattamento sulla coppia genitoriale con ricaduta sul benessere del minore?
Tuttavia, non discostiamoci dalla premessa: i trattamenti sanitari obbligatori sui soggetti adulti sono vietati e deontologicamente illeciti.
Ma a volte credo che andrebbe imposta almeno per tentare un modo per rendere la coppia genitoriale meno conflittuale. Potrà mai un genitore alienante o con tendenze patologiche di sua iniziativa iniziare un percorso? Probabilmente sarà per poco o si finirà lo stesso senza soluzione, ma almeno un piccolo tentativo imposto sarà stato fatto. Almeno per tutelare i figli…
[…] Il rischio di insistere sulla personalità dei genitori è il medesimo per cui la perizia psicologica è vietata (ex art. 220 c.p.p.): la ricerca delle cause potrebbe giustificare il comportamento dei periziandi, quindi la tendenza potrebbe essere quella dell’intervento “spintaneo” e fallimentare sui genitori: curatevi attraverso una psicoterapia. […]