Civile Sent. Sez. 2 Num. 2032 Anno 2023
Presidente: D’ASCOLA PASQUALE
Relatore: SCARPA ANTONIO
Data pubblicazione: 24/01/2023

3.5. E’ da considerare che, all’interno di un procedimento disciplinare a carico di uno psicologo, l’accertamento dei fatti non conformi alla dignità o al decoro della professione, l’individuazione delle regole di deontologia professionale, la loro interpretazione e la loro applicazione nella valutazione degli addebiti, attengono al merito del procedimento, e non sono sindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivate, in quanto si riferiscono a precetti extragiuridici, ovvero a regole interne alla categoria, e non ad atti normativi. Nella materia disciplinare non trova, d’altro canto, applicazione il principio di stretta tipicità dell’illecito, proprio del diritto penale, per cui non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, ma solo l’enunciazione dei doveri fondamentali, tra cui segnatamente, per la professione di psicologo, quelli di dignità e decoro, di cui all’art. 26 della legge n. 18 febbraio 1989, n. 56, ai quali il professionista deve improntare la propria attività. Non è in tal senso sindacabile in sede di legittimità l’affermazione della responsabilità disciplinare della psicologa che abbia delegato ad un collaboratore, privo del titolo abilitativo della iscrizione all’apposito albo, la somministrazione di un test di valutazione della personalità, espressione della specifica competenza e del patrimonio di conoscenze della psicologia, e perciò ricompresa tra le attività della professione.

3.7. Del pari, nei procedimenti disciplinari a carico di psicologi, l’apprezzamento della gravità del fatto e della condotta addebitata all’incolpato, rilevante ai fini della scelta della sanzione opportuna, ai sensi dell’art. 26 della legge n. 56 del 1989, è rimesso all’ordine professionale, ed il controllo di legittimità sull’applicazione di tale norma non consente al giudice di sostituirsi al Consiglio dell’ordine nel giudizio di adeguatezza della sanzione irrogata, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, ove si riveli un palese sviamento di potere, ossia l’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito.

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