Una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sezione Settima, sentenza n. 07658/2024) ha ribadito l’importanza del segreto professionale nel contesto del diritto di accesso agli atti amministrativi. La sentenza ha stabilito che il segreto professionale, in particolare quello dello psicologo, può precludere l’accesso a determinati documenti, anche quando sussiste un interesse qualificato alla loro divulgazione.

Il caso specifico

La sentenza ha riguardato il caso di una studentessa che, dopo aver subito episodi di bullismo, ha chiesto l’accesso alla relazione redatta da una psicologa scolastica in seguito a incontri con la sua classe. La scuola ha negato l’accesso, opponendo il segreto professionale. Il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità di tale diniego, sottolineando che il segreto professionale rappresenta un limite invalicabile al diritto di accesso.

Principi chiave affermati dalla sentenza

  • Il segreto professionale prevale sul diritto di accesso: la sentenza ha chiarito che il segreto professionale, previsto dalla legge, costituisce un’eccezione al diritto di accesso agli atti amministrativi. Pertanto, quando un documento è coperto da segreto professionale, l’accesso può essere negato anche in presenza di un interesse qualificato.
  • Il segreto professionale dello psicologo: il Consiglio di Stato ha evidenziato l’importanza del segreto professionale dello psicologo, che tutela non solo l’assistito ma anche la libertà di scienza del professionista.
  • Consenso dell’interessato e obbligo di referto: la sentenza ha precisato che il consenso dell’interessato o l’obbligo di referto possono, in alcuni casi, consentire la deroga al segreto professionale. Tuttavia, nel caso specifico, queste circostanze non erano applicabili, poiché l’intervento della psicologa riguardava l’intera classe e non solo la studentessa richiedente.

Di seguito uno stralcio:

5.1. Conviene premettere che, per come è prospettata, la doglianza omette di considerare un tratto fondamentale, e altrettanto generale, della funzione e delle attività professionali dello psicologo.

Quest’ultimo, infatti interviene terapeuticamente, non solo con riferimento ad un singolo assistito, ma anche, di norma, ed anzi sempre più frequentemente, soprattutto in caso di terapie somministrate ad adolescenti, nei confronti di un gruppo ristretto di individui.

Questa seconda tipologia di intervento serve a risolvere o a prevenire conflitti che si siano generati, o possano generarsi, all’interno della relativa comunità, o anche solo – il che accade sovente nel caso di interventi su singole classi di studenti delle scuole superiori – è richiesto al fine di meglio orientare le relazioni dei singoli fra loro, dei singoli con il gruppo e del gruppo con i singoli.

5.2. Re-inquadrata in questa dimensione, che è poi verosimilmente quella che ha occasionato l’intervento della psicologa di cui alla controversia, l’attività della dottoressa -OMISSIS-, il segreto professionale da quest’ultima opposta riacquista tutta la sua significatività.

Infatti, nel caso di specie, il consenso del singolo componente del gruppo, o, in ipotesi, il consenso espresso da tutti componenti del gruppo oggetto dell’intervento, giammai avrebbero potuto sollevare il professionista dal relativo obbligo di riservatezza, dal momento che l’oggetto della relazione terapeutica è il rapporto di quest’ultimo con l’intera comunità di riferimento, il che, in certo senso, rafforza – e dunque produce un effetto esattamente inverso – la necessità di assicurare riserbo e discrezione sugli incontri e sugli esiti degli stessi.

5.3. Né è condivisibile quanto affermato dalla doglianza in esame, secondo la quale il segreto professionale è posto solo a tutela degli assistiti.

Al contrario, ritiene il Collegio che detto segreto sia previsto anche a tutela della libertà di scienza, che, nell’esercizio dell’attività professionale, deve essere garantita ai prestatori d’opera intellettuale nel nostro ordinamento, ai sensi di quanto previsto dall’art.2239 del c.c. e, soprattutto, dal comma 1 dell’art.33 della Costituzione.

È evidente, infatti, che se non si garantisse la riservatezza delle valutazioni, dei giudizi e delle opinioni da costoro espresse nel corso dell’attività professionale, quella libertà potrebbe essere seriamente compromessa.

5.4. In definitiva, anche a voler ammettere che il segreto professionale, a fronte dell’esercizio del diritto di accesso da parte degli aventi diritto, possa presentare un margine di relativa elasticità, nel caso di specie, alla luce dei presupposti appena esplicitati, questa delimitazione non è invocabile.

La sentenza in esame rappresenta un importante precedente in materia di diritto di accesso e segreto professionale. Essa conferma che il segreto professionale costituisce un limite invalicabile al diritto di accesso, anche quando sussiste un interesse qualificato alla divulgazione dei documenti. La decisione sottolinea inoltre l’importanza di bilanciare il diritto di accesso con la tutela della privacy e della libertà di scienza dei professionisti.

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