A cura di Catello Parmentola

Anche se la precedente revisione di questo articolo avvenne in violazione dell’art. 41 del C.D. perché non si svolse nella sede competente dell’Osservatorio, non fu svolta da soggetti istituzionali competenti e non rientrava tra i mandati revisionali che il Cnop aveva assegnato all’Osservatorio, non si può non dirne bene.
Correva, infatti, l’anno 2013 e il dibattito del tempo domandava che fossero chiariti e specificati gli atti propri dello psicologo e quali dovessero intendersi per soggetti interni o estranei alla professione psicologica.
Era ovvio già allora che non toccava al Codice Deontologico – fra l’altro con l’irrituale trasbordo di una parte di norma generale dentro un articolo deontologico) né ‘decidere’ né insegnare nulla a livello tecnico-professionale  (fra l’altro con l’evocazione di dimensioni culturali e cliniche intangibili –processi psichici ecc.- e immisurabili in un contesto giuridico-formale) e che questi chiarimenti nel Codice costituissero dei disequilibri di fattispecie non presenti in nessun articolato giuridico-formale. (Come se si elencassero oggi nel Codice – a proposito dei nuovi articoli sul Consenso Informato – tutte le prestazioni che rientrano tra i Trattamenti Sanitari e tutte quelle che non ci rientrano: si trasformerebbe il Codice Deontologico in un’altra cosa, una sorta di  Nomenclatore…).
L’importanza delle questioni, tuttavia, giustificò – per il solo articolo 21 – in via d’eccezione questa vistosa discrepanza formale.
Quindi, contestualizzando temporalmente nel 2013 quella revisione, nulla da dire.
Sono passati, tuttavia, 10 anni in cui sono successe molte cose.
    • L’articolo 21 non ha visto ridurre la sua esposizione disciplinare: un’ipotesi è che le utili (al tempo) aggiunte chiarificatrici e specificatrici abbiano fatto disperdere i punti più essenziali e concreti di ciò che è lecito e ciò che è deroga.
    • Il taglio sempre più giuridico-formale che si vuole dare al Codice ha fatto risaltare sempre di più quei disequilibri di fattispecie, i passaggi più incoerenti con ciò che conta in un articolato giuridico formale, applicabilità degli articoli, accertabilità, misurabilità e sanzionabilità delle deroghe.
    • Sia dal punto di vista culturale che normativo (dalla Sentenza di Cassazione 11545/12 in poi) sempre più si sta valutando l’abuso più nell’ottica dello ‘scopo’ che del perseguimento di competenze che, a loro volta, stanno allentando sempre più la pregnanza giuridica dell’esclusività.
    • Si sono aggiunti altri 10 anni di esercizio professionale che espongono oggi  meno pressantemente l’esigenza di dovere ancora spiegare ai colleghi (tanto più in un ambito del tutto incongruo) quali sono i loro atti professionali.
Questo tempo diverso ha domandato una riformulazione del 21 nel senso di pochi commi chiari, essenziali e concreti.
Si è scoperto poi che questa era una domanda molto condivisa anche nella comunità professionale.
Quella che era solo una proposta in prima battuta, infatti, è restata nella sua prima riformulazione perché accolta immediatamente in modo molto positivo dalla totalità dei tecnici istituzionalmente preposti, da tutte le parti e da tutti i colleghi esperti che l’hanno vagliata quando è stata formalmente esposta.
Consideriamo quindi l’attuale proposta revisionale dell’art. 21 l’esito di un percorso esemplare poiché questo articolo aveva già una sua ottima prima formulazione nel Codice; ha avuto poi una ottima revisione nel 2013, revisione che filtrò il tempo che correva e gli rispose coerentemente; e oggi ha un’ulteriore –altrettanto ottima- revisione che filtra i cambiamenti nel frattempo intervenuti.
Questo è esemplare: tutti i processi revisionali dovrebbero sempre svolgersi in questo modo, in una coerenza emancipativa che non vede contraddizioni nelle revisioni ma solo cambiamenti e nuove domande nei diversi tempi.
La nuova formulazione esplicita in modo netto la differenza tra insegnamento di conoscenze psicologiche che promuove la diffusione culturale della psicologia e l’insegnamento a soggetti estranei alla professione dell’uso di strumenti, tecniche e metodi propri della professione psicologica.
Anche se non crediamo che nel 2023 qualche collega possa ancora non distinguere le due cose. Che sarebbe come non distinguere la promozione culturale delle conoscenze mediche dall’insegnamento dell’uso chirurgico del bisturi ad un commercialista.
Ovviamente questi secondi insegnamenti costituiscano una violazione deontologica tanto più grave quanto più sono finalisticamente volti alla precostituzione di esercizi abusivi.
Ed è di tutta evidenza che questi illeciti nulla abbiano a che fare con il principio costituzionale della libertà di insegnamento della scienza e dell’arte.
La più nobile delle Leggi Quadro non dovrebbe essere tirata dentro miserevoli agoni precettivi.
Si sta discutendo di cose completamente diverse.

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