Leggo questi commenti su un social network in merito agli Articoli 473-bis.27 c.p.c. e all’Art. 165 c.p.:

Sull’Art. 473-bis.27 c.p.c.:

«gli invii del giudice tracciano una indicazione nella direzione della ricuperabilità, possibile o meno. Ciò non equivale affatto ad un TSO poiché il genitore può, in ogni caso, scegliere se seguire tale indicazione o astenersene. Ovviamente assumendosi la responsabilità per le conseguenze di tali scelte»

Sull’Art. 165 c.p.

«Ricordo che la legge 69/2019, anche detta “codice rosso”, indica addirittura i trattamenti rivolti agli autori di violenza possibile misura alternativa alla detenzione. Con tutto lo strascico di profonde ambiguità che ciò determina. Anche in questo caso tuttavia non si tratta di un TSO ma di una prescrizione a cui il reo può scegliere di aderire o meno»

Le criticità in merito al consenso informato di questi due articoli sono differenti.

L’Art. 473-bis.27 c.p.c. prevede che il Tribunale imponga/dispone dei trattamenti sanitari ai genitori separati – per mezzo del SSN – contro la loro volontà. Come dice giustamente lo stesso utente sul social network «Ovviamente assumendosi la responsabilità per le conseguenze di tali scelte» nel caso in cui il genitore decidesse di non aderire alla prescrizione. Le conseguenze negative della scelta di NON accettare l’invio “spintaneo” del Tribunale al Servizio Sanitario viene definita “consenso informato viziato“. Cioè, aderisco al trattamento psicologico (sanitario) perché non ho altra scelta: se rifiuto il trattamento, il Tribunale limiterà l’esercizio della mia funzione genitoriale. Trattasi di un consenso informato viziato, condizionato.
Ne parliamo abbondantemente qui.

Invece, l’Art. 165 c.p. prevede:

[…] la sospensione condizionale della pena è sempre subordinata alla partecipazione, con cadenza almeno bisettimanale, e al superamento con esito favorevole di specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati, accertati e valutati dal giudice, anche in relazione alle circostanze poste a fondamento del giudizio formulato ai sensi dell’articolo 164.

La questione in questo caso è differente dall’Art. 473-bis.27 c.p.c. Intanto perché non viene coinvolto direttamente e in modo specifico il Servizio Sanitario Nazionale e poi perché vi è una condanna. Il soggetto ha subito una condanna – ad esempio per maltrattamento in famiglia (Art. 572 c.p.) – per cui se vuole ottenere un beneficio (sospensione condizionale di pena) può aderire ad un trattamento sanitario specifico. Il suo eventuale rifiuto non comporta una conseguenza negativa: è già condannato penalmente. E l’Art. 165 c.p. non prevede un obbligo da parte dell’Autorità Giudiziaria, ma una facoltà, una possibilità che lo Stato mette a disposizione della persona condannata.

La novella dell’Art. 473-bis.27 c.p.c. non prevede una facoltà nella scelta, ma trattasi di una disposizione: se non lo fai, subirai conseguenze negative. Questo articolo prevede, tra l’altro, anche l’attività specifica demandata dal Giudice al Servizio Sanitario Nazionale, cioè il Giudice stabilisce obiettivi clinici. Inaccettabile.

Quindi, in sintesi:

473-bis.27 c.p.c.: il Tribunale dispone. Se il genitore separato non accetta, subirà conseguenze negative sull’esercizio della sua responsabilità genitoriale. Il consenso informato è sempre viziato.

165 c.p.: il Tribunale offre una possibilità. Se la persona condannata rifiuta, non subirà un aggravio di pena. Il consenso informato non è viziato. Poi andrebbe valutata la motivazione della persona condannata al trattamento psicologico, ma questa è un’altra questione puramente clinica.

Altre osservazioni sull’argomento in altre sedi.

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